Uno dei problemi (potrebbe anche essere uno dei pregi ma no, rimane un problema) di HORS LA VIE nasce proprio dalla schizofrenia di questo libanese che vive a Parigi: il suo film è la cronaca quotidiana, realistica ed autentica (è ispirata dalla drammatica esperienza raccontata dal fotografo Roger Auque) delle sofferenze di uno degli ormai numerosi ostaggi occidentali in mano araba. Ma, al tempo stesso, di altre sofferenze: quelle di una città sventrata dagli obici, e dei suoi abitanti abbandonati - forse ancor più degli ostaggi occidentali - al loro tragico ed immutabile destino.

Non si vuol dire che sia questa sofferenza ad interessare maggiormente Bagdadi: grazie all'interpretazione di Girardot (ottimo protagonista di recente del giovane film francese UN MONDE SANS PITIÈ) l'angoscia e l'umiliazione di un individuo privato di ogni libertà è resa con notevole efficacia. Ma i suoi ritrattini dei carcerieri, degli abitanti che sfiorano l'esistenza dell'ostaggio, delle vie di Beirut nelle quali l'esistenza quotidiana dove pur sopravvivere, sono certamente inferiori non solo alle nostre aspettative, ma probabilmente anche ai desideri che indoviniamo essere quelli dell'autore.

Un coinvolgimento quasi deviato: che relega HORS LA VIE tra gli spezzoni naturalistici ed impotenti.